La settimana prima dell’evento
avevamo quasi sospeso le lezioni. Il maestro Guerrino assieme alla sua classe
di maschi si era dato da fare per allestire il palcoscenico e il fondale.
Avevano eretto un palco fatto con tavole in palestra, poi avevano dipinto due
grandi lenzuola con il paesaggio tipico della Palestina. Piero dipingeva
stelline, perché era l'unico che sapesse disegnare direttamente con il colore,
senza bisogno di traccia. Io di pomeriggio andavo a casa della nonna materna e
senza farmi scoprire raccoglievo muschio sulla montagnetta di Yuk e ritornavo
con le unghie nere e consumate. A scuola avevano preparato la capanna costruita
con le canne portate da Michele e Paolo, raccolte nella trincea dove viveva
Virgilio. (…)
La maestra Renata, invidiata da
tutte noi bambine per i bei vestiti all'ultima moda e i capelli gialli come
Barbie, aveva portato la culla del suo bambino e l'aveva riempita di paglia.
Dentro voleva metterci un bambino vero, ma nessuna mamma voleva imprestarne
uno; così aveva messo un Cicciobello nudo, con un pannolino fatto da uno
straccio e sopra una copertina di lana azzurra che era stata di suo figlio
La maestra Gianna, che era la mia
severa insegnante, era la regista. Era stato difficile per lei assegnare le
parti, perché ognuno di noi avrebbe voluto fare quella più importante, ma alla
fine ce la fece. Io dovevo imparare a memoria un testo piuttosto lungo, tratto
dal Vangelo di Luca. Iniziavamo il racconto con la gravidanza di Maria, così
dovevo recitare anche la visita ad Elisabetta e altro. Elisabetta era interpretata
da Manuela, mia seconda cugina. San Giuseppe era Stefano ed io ero arrabbiata,
perché tutti i bambini mi prendevano in giro dicendomi che eravamo morosi e da
grande avrei dovuto sposarlo e a me non piaceva proprio.
I momenti più divertenti erano
quelli delle prove, quando l'altro Stefano e Flavio dovevano interpretare bene
la loro parte: il primo faceva l'asinello e il secondo il bue. L'asinello aveva
due lunghe orecchie di panno e un mantello grigio, il bue un mantello e
orecchie marrone. Flavio si stancava subito e non "soffiava" come
voleva la maestra, così qualche volta si era messo a piangere e, mentre tutti
gli altri ridevano a crepapelle, lui continuava a soffiare e ad asciugarsi le
lacrime. Io mi sentivo male per Stefano e Flavio, costretti a fare i pagliacci
davanti a tutti.
Quando la signora direttrice veniva
a vedere le prove, la mia maestra diventava tutta rossa e sudava sotto le
ascelle tanto da avere una macchia scura sul grembiule azzurro. Noi ce ne
accorgevamo e non riuscivamo a capire perché la maestra Gianna avesse tanta
paura. Anche quando eravamo in classe e la direttrice veniva a bruciapelo a
controllare le lezioni, ad interrogarci o a guardare i nostri quaderni, la
maestra dapprima impallidiva, poi si faceva rossa rossa, sudava e parlava con
difficoltà. La signora direttrice dava consigli e aveva sempre ragione perché
comandava. Aveva fatto spostare la mangiatoia da destra a sinistra e tutto il lavoro
di sistemazione dei personaggi era stato fatto di nuovo.
Il maestro Mario era l'unico che
rispondeva per le rime, batteva il pugno sul tavolo e si adirava, ma alla fine anche
lui faceva sempre quello che voleva la direttrice. (…)
Il giorno della recita i maestri
avevano disposto tutte le sedie in fila, nelle prime due file stavano seduti i
bambini e le bambine di prima che erano troppo piccoli per la recita. Anche la
mia sorellina era seduta e diceva a tutti che la Madonna era sua sorella. La maestra
Renata aveva un mini vestito color rosso, le calze a rete e gli stivali fin
sopra il ginocchio. Sembrava Sylvie Vartan, con quei capelli gialli e il trucco
nero sugli occhi. Mentre aspettavamo l’arrivo dei genitori voleva mettere un
disco di Lucio Battisti che canticchiava spesso e si intitolava “Un’avventura”,
ma le altre maestre le avevano detto che non era il caso e avevano messo i
canti natalizi. Noi eravamo tutti molto emozionati, fuori fioccava la neve ed
io guardavo di continuo al di là dei vetri per vedere se arrivava la mamma.
Quando iniziammo il canto "Adeste fideles", vidi la nonna con
il suo cappotto grigio topo e il fazzoletto in testa. La mamma non era venuta.
Avevamo recitato tutti bene ed alla fine avevamo ricevuto tantissimi applausi.
La signora direttrice aveva fatto il discorso e gli auguri alle famiglie, poi
ci eravamo divertiti a rincorrerci per le aule, sgranocchiando i biscotti
preparati dalla bidella Elodia. Anche Flavio e Stefano avevano fatto la loro
figura, senza arrabbiarsi e senza sbagliare di soffiare. Eravamo tutti felici
soprattutto perché, vista la neve scesa copiosa, le vacanze di Natale sarebbero
state bellissime.
Per me lo erano un po' meno degli
altri anni, perché la mamma era tornata dall'ospedale solo la vigilia di Natale
ed avevo dovuto fare da sola l'albero e il presepe. La sorellina mi dava una
mano, ma spesso nascondeva le pecorelle per farmi arrabbiare. Comunque, la
mamma era a casa a Natale e questo solo contava.
Tratto da “Storia di Rosa”
Forum editrice
All'avvicinarsi del Natale,
nell'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, facevamo la recita
scolastica. Ogni anno dovevo fare la parte del narratore, perché la maestra
Gianna diceva che sapevo leggere molto bene e mi affibbiava parti molto lunghe.
Era divertente preparare le recite, così si saltava l'ora di canto del sabato,
ora che non mi piaceva, perché non avevo una bella voce. In V elementare non mi
era stata affidata la parte del narratore, bensì quella di Maria. Ero
emozionata, perché dovevo fare la protagonista e, per la prima volta, potevo
indossare anche io il costume. La mamma era ammalata ed aveva dovuto recarsi
all'ospedale, così il vestito era stato cucito dalla nonna e non era venuto
molto bene. Avevo una lunga tunica bianca e un velo azzurro uguale alla fascia
che tenevo legata attorno alla vita. Papà mi aveva promesso che per il giorno
della recita la mamma sarebbe venuta a casa e forse avrebbe potuto partecipare
al piccolo rinfresco preparato dalle bidelle. Era triste preparare la parte
senza la mamma, perché era lei che mi ascoltava e giudicava il mio modo di
recitare (..).
La settimana prima dell’evento
avevamo quasi sospeso le lezioni. Il maestro Guerrino assieme alla sua classe
di maschi si era dato da fare per allestire il palcoscenico e il fondale.
Avevano eretto un palco fatto con tavole in palestra, poi avevano dipinto due
grandi lenzuola con il paesaggio tipico della Palestina. Piero dipingeva
stelline, perché era l'unico che sapesse disegnare direttamente con il colore,
senza bisogno di traccia. Io di pomeriggio andavo a casa della nonna materna e
senza farmi scoprire raccoglievo muschio sulla montagnetta di Yuk e ritornavo
con le unghie nere e consumate. A scuola avevano preparato la capanna costruita
con le canne portate da Michele e Paolo, raccolte nella trincea dove viveva
Virgilio. (…)
La maestra Renata, invidiata da
tutte noi bambine per i bei vestiti all'ultima moda e i capelli gialli come
Barbie, aveva portato la culla del suo bambino e l'aveva riempita di paglia.
Dentro voleva metterci un bambino vero, ma nessuna mamma voleva imprestarne
uno; così aveva messo un Cicciobello nudo, con un pannolino fatto da uno
straccio e sopra una copertina di lana azzurra che era stata di suo figlio
La maestra Gianna, che era la mia
severa insegnante, era la regista. Era stato difficile per lei assegnare le
parti, perché ognuno di noi avrebbe voluto fare quella più importante, ma alla
fine ce la fece. Io dovevo imparare a memoria un testo piuttosto lungo, tratto
dal Vangelo di Luca. Iniziavamo il racconto con la gravidanza di Maria, così
dovevo recitare anche la visita ad Elisabetta e altro. Elisabetta era interpretata
da Manuela, mia seconda cugina. San Giuseppe era Stefano ed io ero arrabbiata,
perché tutti i bambini mi prendevano in giro dicendomi che eravamo morosi e da
grande avrei dovuto sposarlo e a me non piaceva proprio.
I momenti più divertenti erano
quelli delle prove, quando l'altro Stefano e Flavio dovevano interpretare bene
la loro parte: il primo faceva l'asinello e il secondo il bue. L'asinello aveva
due lunghe orecchie di panno e un mantello grigio, il bue un mantello e
orecchie marrone. Flavio si stancava subito e non "soffiava" come
voleva la maestra, così qualche volta si era messo a piangere e, mentre tutti
gli altri ridevano a crepapelle, lui continuava a soffiare e ad asciugarsi le
lacrime. Io mi sentivo male per Stefano e Flavio, costretti a fare i pagliacci
davanti a tutti.
Quando la signora direttrice veniva
a vedere le prove, la mia maestra diventava tutta rossa e sudava sotto le
ascelle tanto da avere una macchia scura sul grembiule azzurro. Noi ce ne
accorgevamo e non riuscivamo a capire perché la maestra Gianna avesse tanta
paura. Anche quando eravamo in classe e la direttrice veniva a bruciapelo a
controllare le lezioni, ad interrogarci o a guardare i nostri quaderni, la
maestra dapprima impallidiva, poi si faceva rossa rossa, sudava e parlava con
difficoltà. La signora direttrice dava consigli e aveva sempre ragione perché
comandava. Aveva fatto spostare la mangiatoia da destra a sinistra e tutto il lavoro
di sistemazione dei personaggi era stato fatto di nuovo.
Il maestro Mario era l'unico che
rispondeva per le rime, batteva il pugno sul tavolo e si adirava, ma alla fine anche
lui faceva sempre quello che voleva la direttrice. (…)
Il giorno della recita i maestri
avevano disposto tutte le sedie in fila, nelle prime due file stavano seduti i
bambini e le bambine di prima che erano troppo piccoli per la recita. Anche la
mia sorellina era seduta e diceva a tutti che la Madonna era sua sorella. La maestra
Renata aveva un mini vestito color rosso, le calze a rete e gli stivali fin
sopra il ginocchio. Sembrava Sylvie Vartan, con quei capelli gialli e il trucco
nero sugli occhi. Mentre aspettavamo l’arrivo dei genitori voleva mettere un
disco di Lucio Battisti che canticchiava spesso e si intitolava “Un’avventura”,
ma le altre maestre le avevano detto che non era il caso e avevano messo i
canti natalizi. Noi eravamo tutti molto emozionati, fuori fioccava la neve ed
io guardavo di continuo al di là dei vetri per vedere se arrivava la mamma.
Quando iniziammo il canto "Adeste fideles", vidi la nonna con
il suo cappotto grigio topo e il fazzoletto in testa. La mamma non era venuta.
Avevamo recitato tutti bene ed alla fine avevamo ricevuto tantissimi applausi.
La signora direttrice aveva fatto il discorso e gli auguri alle famiglie, poi
ci eravamo divertiti a rincorrerci per le aule, sgranocchiando i biscotti
preparati dalla bidella Elodia. Anche Flavio e Stefano avevano fatto la loro
figura, senza arrabbiarsi e senza sbagliare di soffiare. Eravamo tutti felici
soprattutto perché, vista la neve scesa copiosa, le vacanze di Natale sarebbero
state bellissime.
Per me lo erano un po' meno degli
altri anni, perché la mamma era tornata dall'ospedale solo la vigilia di Natale
ed avevo dovuto fare da sola l'albero e il presepe. La sorellina mi dava una
mano, ma spesso nascondeva le pecorelle per farmi arrabbiare. Comunque, la
mamma era a casa a Natale e questo solo contava.
Tratto da “Storia di Rosa”
Forum editrice

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